La penosa vicenda all’attenzione del Tribunale di Velletri è stata definita con il riconoscimento della responsabilità risarcitoria paterna per il totale disinteresse manifestato nei confronti della figlia.
Il provvedimento è degna di nota non solo per la complessa motivazione ma, soprattutto, per il criterio adottato ai fini della quantificazione del danno “subìto per l’assenza della figura genitoriale di riferimento e per la conseguente violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione”, poiché “nel caso di specie l’intervenuta non solo non ha mai potuto beneficiare del supporto legato alla presenza paterna ma è cresciuta (e crescerà) nella consapevolezza di non essere accettata come figlia dal proprio padre senza che quest’ultimo abbia fornito una qualche giustificazione di tale comportamento” (ammesso che una giustificazione sia anche solo astrattamente ipotizzabile).
Il Tribunale ha evidenziato come “tra i parametri da considerare ai fini della valutazione del danno morale-soggettivo patito dalla persona danneggiata vi è anche – ma non solo – il dato oggettivo della durata del periodo in cui il genitore non si è curato della prole, dovendosi avere riguardo all’età della danneggiata all’epoca della definitiva privazione del rapporto parentale e al grado della colpa da ascrivere alla condotta di ‘disinteresse’ manifestata dal danneggiante”.
Ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale viene richiamata la giurisprudenza di legittimità che ritiene applicabile i parametri adottati tabellarmente per la perdita parentale “in via meramente analogica e con l’applicazione di correttivi, che ne giustificano la liquidazione in via meramente equitativa”.
Ciò in quanto il lutto da morte ha caratteristiche diverse da quelle del colpevole abbandono dei figli, in quanto quest’ultima situazione ha ancora margini di emendabilità. “Ne consegue che il criterio tabellare può rappresentare un punto di riferimento nella liquidazione del danno in via analogica (Cass., n. 26205/2013)”.
In applicazione analogica di tali parametri il Tribunale ha ritenuto di far riferimento alle tabelle del Tribunale di Milano dell’anno 2021 – l’eccezionalità del caso non rende opportuno per il giudicante l’applicazione delle nuove tabelle con il sistema a punti – relative al danno non patrimoniale per la morte di un congiunto, che prevedono, in caso di morte del genitore, a favore del figlio un valore monetario di Euro 168.250,00.
Valorizzati i dati di fatto acquisiti nel corso del giudizio il Tribunale ha ritenuto equo liquidare il risarcimento per il danno patrimoniale subito dalla figlia per la privazione della figura paterna in Euro 84.125,00 (pari alla metà di Euro 168.250,00), già rivalutata all’attualità, sulla quale vanno calcolati gli interessi a partire dalla data della sentenza.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI VELLETRI
Prima sezione civile
Il Tribunale di Velletri, nella persona del Giudice dott.ssa Prisca Picalarga, in funzione di giudice monocratico, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta , trattenuta in decisione all’udienza dell’11.3.2024
tra
__________nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale esclusiva sulla figlia e _____________ entrambe rappresentate e difese dall’ avv. Alfonsina De Rosa e dall’avv. Antonio Costa
contro
CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da note di trattazione scritta per l’udienza dell’11.3.24
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
Con atto di citazione ha citato in giudizio chiedendo che “Accertata e dichiarata l’assenza paterna nella vita della figlia minore , condannare il sig. a risarcire alla figlia minore il danno non patrimoniale subito dalla stessa per l’assenza della figura genitoriale paterna per tutti i motivi suesposti, come da relazione tecnica della dott.ssa , ovvero il danno psichico nella misura del 12% ed il danno non patrimoniale da pregiudizio esistenziale di livello moderato nella misura del 16% a titolo di danno tanatologico; – Condannare il sig. a pagare il mantenimento della figlia minore dalla nascita al febbraio 2018 da liquidarsi anche in via equitativa. In particolare ha rappresentato che: – dalla relazione sentimentale intercorsa con il convenuto in data è nata a Roma ,non riconosciuta alla nascita dal padre, ma solo dopo il decreto del Tribunale dei Minori; che si è completamente disinteressato della figlia; – il Tribunale per i Minorenni di Roma, con sentenza , nel procedimento iscritto al ruolo C.C. , depositata in data 12 luglio 2010, con correzione dell’errore materiale del 21 ottobre 2010, ha dichiarato la paternità naturale di nato a Roma il , nei riguardi della minore , nata a Roma il ;
– la sentenza non è mai stata impugnata ed è passata in giudicato; – il padre non ha mai provveduto a contribuire al mantenimento della figlia naturale; – con decreto del 7.08.2018, il sig. è stato condannato a versare un assegno mensile di € 400,00 per la figlia a decorrere dal mese di febbraio 2018; – prima del febbraio 2018, il padre della minore non contribuiva in alcun modo al mantenimento della figlia, né la ha mai vista o tenuta con sé; – nell’ottobre 2019, in seguito alla notifica del precetto per il mantenimento dovuto dal sig. , rimasto peraltro contumace nella suddetta causa, le parti si sono accordate per la riduzione del mantenimento ad € 300,00;
– nonostante il predetto giudizio e l’accordo tra le parti, il padre della minore ha perseverato nel non vedere la figlia o partecipare alla vita della stessa, che è ormai diciassettenne; -che, con relazione tecnica, la dott.ssa ha riconosciuto un danno psichico nella misura del 12% ed il danno non patrimoniale da pregiudizio esistenziale di livello moderato nella misura del 16% a titolo di danno tanatologico.
Con comparsa di costituzione e risposta ha contestato le avverse domande attoree in quanto palesemente infondate in fatto ed in diritto e consistenti in una mera violazione dell’accordo raggiunto tra le parti con scrittura privata di transazione del 30 ottobre 2019 chiedendo di: Rigettare le avverse domande perché infondate in fatto ed in diritto per i motivi esposti in narrativa e condannare la sig.ra al ristoro dei danni in favore del sig. ex art. 96 c.p.c. per lite temeraria.
Con atto del 12.3.21 ha rinunciato alla domanda di risarcimento danni azionata in proprio e, al contempo, è intervenuta quale esercente la responsabilità genitoriale esclusiva sulla figlia minore.
Concessi i termini ex art. 183 sesto comma c.p.c., con la prima memoria istruttoria l’attrice , in proprio, ha precisato la domanda come segue: “Voglia l’Ecc.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così statuire – condannare il convenuto a pagare alla madre la quota di sua spettanza del mantenimento della figlia dalla nascita -9 luglio 2003 al mese di febbraio2018 – da liquidarsi nell’importo di € 400,00 mensili a titolo di contributo ordinario incrementato di un importo equitativamente determinato per tener conto delle spese straordinarie integralmente sostenute dalla madre, importo annualmente devalutato a ritroso- ovvero il diverso maggiore o minore importo ritenuto di giustizia – ed incrementato degli interessi legali maturati sugli importi mensilmente dovuti da ogni singola scadenza al saldo. Con vittoria di spese ed onorari, oltre rimborso forfettario,I VA e CA di legge”.
L’intervenuta , nella qualità di esercente in via esclusiva della potestà genitoriale sulla figlia ha precisato la domanda come segue:
“Voglia l’Ecc.mo Tribunale adito, contrariis reiectis, così statuire: – accertato e dichiarato l’illecito endofamiliare del convenuto per il totale abbandono della figlia, accertati i danni non patrimoniali in qualsiasi modo qualificabili sofferti dalla figlia per la totale assenza della figura paterna, condannare il convenuto a risarcire alla figlia il danno il danno biologico sub specie di danno psichico, il danno morale, il danno esistenziale sub specie di danno da perdita del rapporto parentale ed ogni altro pregiudizio eziologicamente riconducibile alla illegittima ed illecita condotta paterna, nella misura che verrà accertata in corso di giudizio e con ricorso ai criteri equitativi tabellari, oltre rivalutazione monetaria ed interessi ex art. 1284, 4° co. c.c. dalla domanda al saldo.
Con atto di intervento del 22.3.22 , divenuta maggiorenne, si è costituita volontariamente nel giudizio, facendo proprie le domande e le difese della madre e ratificando l’attività processuale dalla medesima posta in essere.
Rigettate le prove chieste dalle parti, il giudice ha formulato una proposta conciliativa che è stata accettata dalla sola parte attrice. All’udienza dell’11 marzo 2023, sostituita dal deposito di note scritte, le parti hanno precisato le proprie conclusioni e il giudice ha trattenuto la causa in decisione.
Le domande sono fondate.
La transazione intervenuta tra e non ha ad oggetto i diritti fatti valere in tale sede. Infatti nella scrittura privata, sottoscritta dalle parti in data 30.10.2019 al fine di evitare l’alea del giudizio di esecuzione – a fronte della notifica di atto di precetto da parte della
……. per intimare l’adempimento delle obbligazioni derivanti dal decreto del Tribunale di Roma n. del 2018 (che ha previsto a decorrere dal 2018 un assegno di mantenimento pari a 400 più 50% spese) , con riferimento alla somma portata dal precetto, si è obbligato a corrispondere euro 8.519,60 e con riguardo all’assegno di mantenimento si è obbligato a corrispondere 300 euro onnicomprensivi; ha rinunciato espressamente al 50% delle spese straordinarie.
Occorre innanzitutto osservare che la transazione prevede un obbligo, in capo al convenuto, sia di un pagamento una tantum che di uno con cadenza mensile e quindi la dicitura di cui al punto e) “all’esito dell’esatto adempimento di quanto pattuito nel presente accordo e con l’esatta e puntuale corresponsione delle somme indicate nei precedenti punti la sig.ra dichiara di rinunciare come in effetti rinuncia, ad ogni titolo, diritto, ragione e causa derivanti e a vario titolo connesse con le causali di cui al presente accordo, anche per quelli non espressamente richiamati, dichiarandosi pienamente tacitata, soddisfatta, con particolare riferimento alle somme portate dal precetto richiamato deve intendersi limitata alle somme oggetto di precetto- unica obbligazione di cui può verificarsi l’esatto adempimento in un determinato momento essendo al contrario le obbligazioni relative al mantenimento da adempiersi di mese in mese e non potendo, quindi, essere oggetto di una rinuncia preventiva.
Al di là dell’osservazione per cui è intervenuta in proprio e non quale rappresentante legale della figlia minore, sicché non poteva rinunciare ad un diritto altrui, è necessario ricordare che occorre attribuire rilevanza decisiva all’identificazione delle specifiche controversie oggetto del contratto, non potendo basarsi esclusivamente sull’ampiezza delle espressioni utilizzate.
Infatti secondo il costante orientamento giurisprudenziale che si ritiene di seguire “l’elemento distintivo rilevante in tema di transazione è che la transazione “generale” riguarda una pluralità di controversie globalmente considerate, senza che occorra la previa individuazione delle medesime, poiché le parti la concludono in generale su tutti i loro affari, cosicché poi le reciproche concessioni possono dirsi relative non a singole liti ma a tutte le potenziali liti considerate nel loro insieme; mentre la transazione speciale” attiene a un determinato affare necessariamente individuato come tale, cui associare l’effetto estintivo o preclusivo, e lo stabilire in concreto se una transazione sia stata generale o speciale rientra nei compiti del giudice di merito, trattandosi di un accertamento del contenuto contrattuale”; – “a tal fine l’indagine sulla comune intenzione dei contraenti deve tener tuttavia conto del criterio generale per cui, ove rispetto a un medesimo rapporto siano sorte o possano sorgere tra le parti più liti in relazione a plurime questioni controverse, l’avere dichiarato, nello stipulare una transazione, di non aver più nulla a pretendere in dipendenza del rapporto non implica necessariamente che la transazione investa tutte le controversie potenziali o attuali, dal momento che a norma dell’art. 1364 cod. civ. le espressioni usate nel contratto, finanche ove generali, riguardano soltanto gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di statuire; cosicché, se il negozio transattivo concerne soltanto alcuna delle eventuali controversie, esso non si estende, malgrado l’eventuale ampiezza dell’espressione adoperata, a quelle rimaste estranee all’accordo, il cui oggetto va determinato attraverso una valutazione di tutti gli elementi di fatto”(così in particolare Sentenza Cass. Sez. 1 – , Ordinanza n. 21557 del 27/07/2021).
Ebbene, nel caso di specie, per i motivi sopra indicati, la transazione è pertanto limitata alle ragioni derivanti dalle causali dell’accordo chiaramente indicate (decreto del Tribunale n. del 2018 che si è pronunciato per il mantenimento dal 2018 in poi).
Venendo, pertanto, al merito delle richieste di parte attrice, si deve prendere atto che parte convenuta si è limitata ad opporre la transazione intervenuta e non ha espressamente contestato né che fosse a conoscenza della gravidanza e della nascita della minore, né di essere stato completamente assente dalla vita di né di non aver mai versato nulla per gli anni antecedenti al 2018.
Con sentenza del n. , passata in giudicato, è stata accertata la paternità naturale di nei riguardi della minore nata a Roma il e la minore è stata affidata alla madre.
La madre ha poi agito con ricorso del 4.10.2016 per ottenere il mantenimento e la condanna per il pagamento del contributo non corrisposto dalla nascita all’introduzione del giudizio. Il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità della domanda restitutoria di somme relative al pregresso mantenimento, prevedendo in capo a l’obbligo di pagare euro 400 al mese, a decorrere da febbraio 2018, oltre alla contribuzione al 50% alle spese straordinarie. In via preliminare, tenuto conto che l’obbligo di mantenimento della prole sorge in capo ad entrambi i genitori dalla nascita della prole (Cfr. Cass. 5652/2012 secondo cui “L’obbligo dei genitori di mantenere i figli (artt. 147 e 148 cod. civ.) sussiste per il solo fatto di averli generati e prescinde da qualsivoglia domanda, sicché nell’ipotesi in cui, al momento della nascita, il figlio sia riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori”) la domanda avanzata dalla madre deve essere correttamente qualificata come azione di regresso ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1299 c.c.
Tanto premesso osserva il Collegio come la determinazione del quantum delle spese sostenute dalla nascita al momento della proposizione della domanda debba necessariamente avvenire in via equitativa, trattandosi non già di determinare un assegno di mantenimento, valevole per il futuro, in relazione al quale, a mente dell’art. 316 – bis c.c., il giudice nella sua determinazione valuta le condizioni economiche dei genitori, tenuto conto che ciascun genitore è tenuto a provvedere “in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo”, ma di un rimborso delle spese spettanti al genitore che ha provveduto al mantenimento diretto del figlio fin dalla nascita, avente natura in senso lato indennitaria ed essendo non agevole per il genitore avente il diritto al regresso dare la prova precisa di tali esborsi (cfr. in tal senso Corte di Appello di Torino, Sentenza 755/2009 del 21/05/2009) fermo restando l’onere di fornire elementi per determinare, seppure in via equitativa, l’entità della sua pretesa creditoria.
Venendo al caso sottoposto all’esame del Tribunale, deve farsi riferimento ad un periodo che va dalla nascita di , nata il , sino al mese di febbraio 2018 dunque, 14 anni e 7 mesi.
Tanto premesso, deve evidenziarsi che, sul punto, l’attrice non ha fornito un principio di prova comprovante gli effettivi esborsi sostenuti nel tempo e non ha documentato la condizione reddituale di cui ha goduto nel lungo lasso di tempo intercorrente dalla nascita al gennaio 2018 (difatti non ha prodotto alcuna documentazione reddituale).
Pertanto, la valutazione che il Tribunale è chiamato a compiere deve essere svolta sulla base delle presumibili esigenze della figlia ed in relazione a quello che deve ritenersi il contributo minimo necessario per assicurargli un’esistenza decorosa. In quest’ottica va ritenuto congruo nonché adeguato stabilire che il rimborso alla debba avvenire nella misura di Euro 150 mensili.
Pertanto, il convenuto va condannato alla restituzione a della somma complessiva di Euro 26.250,00 (150 Euro per 175 mensilità ovvero 14 anni e 7 mesi) oltre interessi legali dalla presente pronuncia al saldo.
Quanto alla domanda dell’attrice volta ad ottenere il risarcimento del danno rileva il Tribunale come la figlia intervenuta ha insistito affinché il convenuto venga condannato, altresì, al risarcimento del danno non patrimoniale subìto per l’assenza della figura genitoriale di riferimento e per la conseguente violazione degli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione.
Venendo all’esame dell’an della fattispecie di danno, si osserva ancora quanto segue. Sempre secondo l’assodato orientamento della giurisprudenza di legittimità, che questo giudice condivide, “In tema di danno per mancato riconoscimento di paternità, l’illecito endofamiliare, attribuito al padre che abbia generato ma non riconosciuto il figlio, presuppone la consapevolezza della procreazione che, pur non identificandosi con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, richiede comunque la maturata conoscenza dell’avvenuta procreazione, non evincibile tuttavia in via automatica dal fatto storico della sola consumazione di rapporti sessuali non protetti con la madre, ma anche da altri elementi rilevanti, specificatamente allegati e provati da chi agisce in giudizio” (Cass. civ. Sez. I Ord., 09/08/2021, n. 22496). E, difatti, alla sussistenza dell’illecito endofamiliare dedotto in giudizio, attinente al rapporto filiale, nell’ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l’assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore, con disinteresse, protratto nel tempo, del genitore nei confronti del figlio, deve osservarsi che la violazione dei doveri di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori verso la prole può integrare gli estremi dell’illecito civile, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, in primis l’art. 30 Cost., così dandosi luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., esercitabile anche nell’ambito dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità e maternità ed anche per il periodo anteriore alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, sorgendo, sin dalla nascita, il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori.
Tuttavia, il mancato riconoscimento dei figli, per poter configurare un danno risarcibile, dovrà possedere i caratteri tipici dell’illecito civile. Dovrà quindi essere causalmente determinante, colpevole e cagionare un danno ingiusto.
In relazione al requisito soggettivo, è stato precisato che esso non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica ma si compone di una serie d’indizi univoci, generati dall’indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all’epoca del concepimento (si veda sempre, Cass. civ. Sez. I Ord., 09/08/2021, n. 22496).
Ora, nel caso concreto, deve ritenersi, che, dal complesso delle risultanze processuali, il convenuto, sin dalla nascita della figlia, avesse una piena consapevolezza della propria paternità.
Ed infatti il medesimo non ha contestato che ha interrotto la relazione dopo aver saputo che la donna era incinta e che sin dalla nascita non si è mai interessato della minore, pur avendo la madre tentato di contattare il padre. Solo all’età di 3 anni il padre ha frequentato per un mese per poi nuovamente eclissarsi e fuoriuscire dalla sfera affettiva della figlia.
Pertanto, deve in definitiva affermarsi che il convenuto fosse consapevole della propria paternità ma che abbia optato per lasciare la figlia priva della figura paterna e delle cure necessarie, rimanendo poi contumace nel giudizio di dichiarazione di paternità e in quello per il riconoscimento di un assegno di mantenimento.
Nel caso di specie l’intervenuta non solo non ha mai potuto beneficiare del supporto legato alla presenza paterna ma è cresciuta (e crescerà) nella consapevolezza di non essere accettata come figlia dal proprio padre senza che quest’ultimo abbia fornito una qualche giustificazione di tale comportamento. Tra i parametri da considerare ai fini della valutazione del danno morale-soggettivo patito dalla persona danneggiata vi è anche – ma non solo – il dato oggettivo della durata del periodo in cui il genitore non si è curato della prole, dovendosi avere riguardo all’età della danneggiata all’epoca della definitiva privazione del rapporto parentale e al grado della colpa da ascrivere alla condotta di “disinteresse” manifestata dal danneggiante.
Ciò posto, deve ritenersi che la sofferenza generalmente ed inevitabilmente riconducibile all’assenza di un genitore vada, nella specie, valutata alla luce del fatto che la minore non ha mai avuto modo di conoscere il padre naturale e, dunque, di apprezzarne consapevolmente la privazione.
In ordine alla quantificazione del danno, sicuramente sussistente nell'”an”, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la liquidazione del danno non patrimoniale, nei casi come quello oggetto del presente giudizio può avvenire, assumendo i parametri adottati tabellarmente per la perdita parentale in via meramente analogica e con l’applicazione di correttivi, che ne giustificano la liquidazione in via meramente equitativa. Ha precisato la Cassazione che il lutto da morte ha caratteristiche diverse da quelle del colpevole abbandono dei figli, in quanto quest’ultima situazione ha ancora margini di emendabilità. Ne consegue che il criterio tabellare può rappresentare un punto di riferimento nella liquidazione del danno in via analogica (Cass., n. 26205/2013).
Ciò premesso, non v’è dubbio che la privazione, sin dalla nascita, della figura paterna abbia inevitabilmente prodotto nella minore delle ripercussioni personali e sociali, con conseguente lesione del diritto ad essere accudita da entrambi i genitori, determinando una condizione di sofferenza e disagio nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza della minore. Al riguardo, la Suprema Corte ha precisato che il diritto al risarcimento sorge dal vuoto emotivo, relazionale e sociale determinato dall’assenza paterna nella vita dei figli fin dalla nascita, mentre, per quanto riguarda la fase successiva al raggiungimento della maggiore età, l’intervenuta definitiva stabilizzazione della lesione subita rende del tutto ininfluente, ai fini della determinazione del risarcimento, il momento dell’iniziativa giudiziale, considerato, inoltre, che la natura del diritto azionato ne rende del tutto giustificabile, in mancanza di limitazioni legali, l’esercizio in una fase di maturità personale compatibile con il coinvolgimento personale ed emotivo ad esso connesso (vedi ancora Cass., n.26205/2013, già citata).
Per quanto riguarda la quantificazione del danno non patrimoniale, stante, come si è visto, la possibilità di utilizzare in via analogica il criterio tabellare, questo giudice ritiene di fare riferimento, a tal fine, alle tabelle del Tribunale di Milano dell’anno 2021, relative al danno non patrimoniale per la morte di un congiunto. In particolare, in caso di morte del genitore, è previsto, a favore del figlio, un valore monetario base di Euro 168.250,00. Si precisa che non appare congruo applicare le nuove tabelle con sistema a punti, considerata l’eccezionalità del caso che occupa. Considerati i dati di fatto acquisiti al processo, visto che perlomeno dal 2019 il padre sta contribuendo al mantenimento della figlia, e i criteri seguiti per determinare l’entità del risarcimento, così come sopra precisati, e adottato come dato di riferimento il valore tabellare, si ritiene equo liquidare il risarcimento dovuto da per il danno non patrimoniale subito dalla figlia per la privazione della figura paterna, in Euro 84.125,00 (pari alla metà di Euro 168.250,00), già rivalutata all’attualità, sulla quale vanno calcolati gli interessi a partire dalla data della presente decisione.
Le spese di lite, liquidate come in dispositivo a norma del D.M. n. 55 del 2014 e successive modifiche, in ragione della soccombenza, sono poste a carico del convenuto, tenuto conto del valore della controversia e dei valori medi.
P.Q.M.
Il Tribunale di Velletri, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al n.r.g. , così provvede:
condanna al pagamento, a titolo di rimborso, in favore di , della somma di Euro 26.250,00 oltre interessi nella misura legale dalla presente pronuncia fino al saldo effettivo;
condanna al pagamento, a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, in favore della figlia della somma di Euro 84.125,00 oltre interessi nella misura legale dalla presente pronuncia fino al saldo effettivo;
condanna al pagamento delle spese di lite in favore delle attrici che si quantificano in complessivi Euro oltre spese generali, iva e cpa come per
legge.
Velletri, 28 marzo 2024
Il giudice
Dott.ssa Prisca Picalarga