Sentenza Tribunale di Roma 8514 del 17.4.2019

La clausola statutaria che contempla la ‘mora nei versamenti’ come causa limitativa del diritto di voto deve essere interpretata nel senso che la mora rilevante è solo quella relativa ai conferimenti.

E’ nulla la delibera societaria adottata escludendo la partecipazione al voto del socio moroso in un finanziamento in favore della società (Tribunale di Roma – Tribunale delle imprese sentenza n. 8514 del 17.4.2019).

Il Tribunale di Roma ha accolto la domanda della società nostra rappresentata di annullamento della delibera emessa dall’assemblea nella quale le era stata preclusa la possibilità di esercitare il diritto di voto, in quanto morosa nei pagamenti dovuti a titolo di finanziamento.

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Di seguito il testo:

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE XVI CIVILE

Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei magistrati:

Dott. Giuseppe Di SalvoPresidente
Dott. Stefano Cardinali  Giudice
Dott.ssa Cecilia Bernardo ha emesso la seguenteGiudice relatore

S E N T E N Z A

nella causa civile di I grado iscritta al n. 26033 del Ruolo Generale per gli affari contenziosi      dell’anno 2016, trattenuta in decisione all’udienza del 25.9.2018 e vertente tra

elettivamente domiciliata in Roma, Via Appia Nuova n. 154, presso lo Studio degli avv. Alfonsina De Rosa ed Antonio Costa, dai quali è rappresentata e difesa in virtù di procura in calce all’atto di citazione.

ATTRICE

E

elettivamente domiciliata                             , presso lo studio dell’avv.                              , dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura in calce alla comparsa di costituzione e risposta.

CONVENUTA

OGGETTO: Impugnazione di delibere assembleari.

CONCLUSIONI DELLE PARTI

All’udienza del 25.9.2018, i procuratori delle parti precisavano le conclusioni come da foglio già depositato in via telematica e precisamente:

  • per parte attrice: “accertare e dichiarare la invalidità ex art. 2479 ter cod. civ. di tutte le delibere dei soci della società                             adottate nel corso dell’assemblea ordinaria dell’11 dicembre 2015 per le denunciate violazioni di legge, dell’Atto Costitutivo e dello Statuto e, per l’effetto, dichiararle nulle, annullarle e privarle di ogni effetto. Con vittoria di spese ed onorari del giudizio, oltre contributo forfettario, oneri previdenziali e fiscali di legge”;
  • per parte convenuta: “respingere la domanda formulata da parte attrice, per le ragioni esposte nella propria comparsa di costituzione e risposta, onerando la parte soccombente della rifusione della spese di lite, da distrarsi in favore del sottoscritto avvocato che si dichiara antistatario”.

La causa veniva quindi trattenuta in decisione, con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c.

PREMESSO IN FATTO CHE:

 Con atto di citazione, ritualmente notificato, la                         conveniva in giudizio la                       s.r.l., esponendo che:

-in data 11.12.2015 si era riunita l’assemblea ordinaria dei soci della                    

s.r.l. – società partecipata per il 34% dalla                 s.r.l., per il 33% da                         e per il 33% dalla società attrice – per deliberare su un ordine del giorno composito, comprensivo tra l’altro dell’approvazione del bilancio per gli anni 2013 e 2014, nonché di ulteriori temi di particolare rilevanza per la compagine societaria;

-all’assemblea avevano partecipato il socio                   – a mezzo di delegato la cui identità non era evincibile dal verbale – e la società attrice (per un totale del 66% del capitale sociale);

alla società attrice era stata, però, preclusa la possibilità di esercitare il diritto di voto, in quanto morosa nei pagamenti dovuti a titolo di finanziamento soci;

-conseguentemente, le deliberazioni erano state approvate con il voto favorevole del solo socio                     (rappresentante il 33% del capitale sociale);

-tali deliberazioni, tuttavia, erano invalide per i seguenti motivi:

  1. violazione dell’art. 12.1 dello statuto e, indirettamente, dell’art. 10 dell’atto costitutivo in tema di quorum costitutivo e deliberativo:

L’art. 12 dello Statuto, adottato ex art. 10 dell’atto costitutivo, così stabiliva: “l’Assemblea ordinaria e straordinaria, sia in prima che in seconda convocazione, sarà validamente costituita con la presenza di tanti Soci che rappresentino almeno i quattro quinti (4/5) del capitale sociale e dovrà deliberare con il voto favorevole dei quattro quinti (4/5) dell’intero capitale sociale”. Tuttavia, nel caso in esame, le deliberazioni erano state assunte con la presenza di soci che rappresentavano solo il 66% del capitale sociale (Tizia                       e la società attrice) e con il voto favorevole di un solo socio, rappresentante il 33% del capitale sociale (Tizia, con conseguente violazione della citata norma statutaria che prevedeva invece un quorum, tanto costitutivo quanto deliberativo, dell’80% (ossia i quattro quinti, secondo l’espressione utilizzata dallo statuto).

  • Violazione degli artt. 2479, comma 5, e 2466, comma 4, c. c. – conseguente nullità della previsione statutaria di cui all’art. 10.2 – in ogni caso violazione dell’art. 10.2 dello statuto.

L’art. 10.2 dello Statuto – disposizione in forza della quale era stato precluso l’esercizio del voto alla società attrice – prevedeva che: “il Socio in mora nei versamenti a qualsivoglia titolo legittimamente richiesti non può esercitare il diritto di voto”. Ciò costituiva una violazione sia dell’art. 2466, quarto comma, c.c. (in base al quale era sospeso il diritto di voto del solo socio in mora nei conferimenti), sia dell’art. 2479, quinto comma, c.c. (in base al quale ogni socio aveva diritto di voto proporzionale alla partecipazione sociale). In ogni caso, poi, era da considerarsi illegittimo il rifiuto del Presidente dell’assemblea di consentire l’immediata regolarizzazione della posizione della                       s.r.l. onde poter esercitare il proprio diritto di voto in quella sede.

  • Violazione dell’art. 2479-bis, comma 4, c.c. e dell’art. 2479-ter c. c., in relazione all’art. 2377, comma 5, c. c., in conseguenza della mancata identificazione ed individuazione del delegato del socio                          .

Il Presidente dell’assemblea non aveva provveduto – secondo quanto invece richiesto dall’art. 2479-bis, comma 4, c.c. – all’identificazione del delegato del socio                     ed alla verifica circa la sua legittimazione, così impedendo alla società attrice di accertare la validità della deliberazione, ai sensi dell’art. 2377, comma 5, c.c., richiamato dall’art. 2479-ter c.c.

Premesso ciò, la società attrice chiedeva accertarsi e dichiararsi l’invalidità ex art. 2479-ter c.c. di tutte le delibere dei soci della                 s.r.l. adottate in data 11.12.2015 per le rappresentate violazioni di legge, dell’atto costitutivo e dello statuto e, per l’effetto, dichiararle nulle, annullarle e privarle di ogni effetto.

******

Si costituiva in giudizio la                             s.r.l., la quale chiedeva il rigetto della domanda attorea, deducendo che:

-quanto al rispetto del quorum costitutivo, era stata regolarmente convocata la                     s.r.l., mediante raccomandata a/r al domicilio indicato dalla stessa, con conseguente regolarità della costituzione dell’assemblea;

-quanto al rispetto del quorum deliberativo, tanto la                          s.r.l. quanto la società attrice erano morose con riferimento al richiesto finanziamento soci e, come tali, non dovevano essere computate ai fini del predetto quorum, in applicazione dell’art. 2644, quarto comma, c.c.;

-per quanto concerne il censurato diniego di regolarizzazione della posizione della società attrice in sede assembleare, essa, costituendo presupposto per l’esercizio del diritto di voto, avrebbe dovuto essere effettuata prima dell’apertura dei lavori;

-sulla asserita nullità dell’art. 10.2 dello statuto, essa non era prospettabile da parte di un socio fondatore che aveva partecipato alla stesura dello stesso;

-sulla asserita mancata identificazione del delegato del socio                        , le generalità dello stesso, ancorché non inserite nel verbale, risultavano dalla delega e dal foglio presenze, entrambi allegati al verbale stesso e, in ogni caso, si trattava di eccezione che la società attrice avrebbe potuto far rilevare già in sede assembleare.

OSSERVA IN DIRITTO

1 – La             s.r.l. ha impugnato le delibere adottate dall’assemblea dei soci della                    

s.r.l. dell’11.12.2015, chiedendo di accertarne la invalidità, per le violazioni di legge, dell’atto costitutivo e dello statuto già richiamate in narrativa.  

Orbene, la domanda della società attrice è fondata e deve pertanto essere accolta, per le ragioni di seguito evidenziate.   

La società attrice prospetta, in primo luogo, la violazione delle norme statutarie in tema di quorum, le quali prevedono, tanto per la regolare costituzione dell’assemblea quanto per la validità delle deliberazioni, un numero di soci che rappresenti almeno i quattro quinti del capitale sociale (art. 12.1 dello statuto). Tuttavia, appare necessario esaminare preliminarmente il secondo motivo di impugnazione, relativo alla denunciata illegittimità della sospensione dell’esercizio del diritto di voto da parte della società                   s.r.l.: solo laddove sia acclarata la legittimità di tale sospensione, infatti, può venire in rilievo il problema del calcolo dei quorum in presenza di soci morosi.   

Con tale secondo motivo di impugnazione, la società attrice denuncia la nullità dell’art. 10.2 dello statuto sociale, sulla base del quale il Presidente dell’assemblea dei soci della                     s.r.l. ha escluso la                   s.r.l. dall’esercizio del diritto di voto all’assemblea dell’11.12.2015. Tale disposizione prevede che: “il Socio in mora nei versamenti a qualsivoglia titolo legittimamente richiesti non può esercitare il diritto di voto”.   

Secondo la prospettazione della                   s.r.l., la                       . s.r.l. sarebbe stata correttamente esclusa dall’esercizio del diritto di voto, giacché in mora rispetto alla richiesta di finanziamento rivolta dall’Amministratrice della convenuta a tutti soci, giustificata dalla necessità di saldare le rate di mutuo scadute al 31.12.2015 per € 642.719,77, le rate IRS scadute al 31.12.2015 per € 232.738,74 e le imposte arretrate (Ici, Imu e Tasi) per € 164.825,11.   

La debenza delle suddette somme non è stata contestata, nella presente sede, dalla parte attrice.

Tuttavia, ritiene il Tribunale che vi sia stata falsa applicazione della disposizione statutaria, con conseguente illegittimità dell’esclusione della società attrice, illegittimità che travolge le delibere assunte in sede assembleare della clausola statutaria in esame, in omaggio al principio di conservazione degli atti giuridici. Al riguardo si rammenta che l’art. 1367 c.c. (rubricato Conservazione del contratto) prevede che: “Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”: ciò comporta la necessità di interpretare espressioni negoziali ambigue nel senso che non comporti nullità e, conseguentemente, inefficacia delle stesse.  

2 – L’art. 10.2 dello statuto della convenuta, infatti, inibisce il diritto di voto al socio che sia in mora nei “versamenti” nei confronti della società, in ciò differenziandosi dall’art. 2466, comma 4 c.c., nel quale si fa riferimento ai soli “conferimenti”

Orbene, secondo il significato tecnico, per versamenti devono intendersi solo quelle erogazioni che vanno a costituire in via definitiva il patrimonio sociale. Rientrano tra di essi, a titolo esemplificativo, i versamenti in conto capitale (anche detti a fondo perduto), i versamenti in conto aumento capitale, i versamenti in conto futuro aumento capitale, i versamenti per copertura perdite. Da essi si distinguono i finanziamenti – anch’essi distinguibili in varie tipologie – che costituiscono capitale che i soci concedono a credito alla società di cui fanno parte.  

Alla differente natura corrisponde altresì una ovvia diversità di regime giuridico. I versamenti, come è noto, non danno luogo ad un obbligo restitutorio in capo alla società nei confronti del socio, andando a costituire o integrare, in via immediata o mediata, il capitale di rischio della compagine sociale. Diversamente, ove l’erogazione venga effettuata quale finanziamento, sorge un rapporto di mutuo, con conseguente obbligo restitutorio in capo alla società (di recente, Cass. Sez. III civ., 12 agosto 2018, n. 20978): si discorre, in tal caso, di capitale di credito. Ciò comporta differenze, evidentemente, anche in sede di contabilizzazione delle relative entrate.  

Accogliendo tale interpretazione, la decisione di escludere la società attrice dall’esercizio del diritto di voto all’assemblea dei soci dell’11.12.2015 è illegittima per violazione dello statuto: la società attrice era infatti in mora nel pagamento di somme pacificamente richieste a titolo di “finanziamento” e non già di “versamento”, nel senso sopra precisato. L’illegittimità dell’esclusione travolge le delibere adottate in quella sede, che devono pertanto essere dichiarate invalide ex art. 2479-ter c.c.  

Non può sottacersi, peraltro, che in un significato atecnico, “versamento” è sostantivo idoneo a definire ogni operazione consistente nel pagamento o nella consegna di un somma di denaro da un soggetto ad un altro, prescindendo dalla natura giuridica dello stesso. Al riguardo appaiono decisive due considerazioni.  

In primo luogo, appare preferibile attribuire, ad un termine utilizzato all’interno di uno statuto societario, il significato tecnico (contabile e giuridico), anziché quello tratto dal linguaggio comune.  

In secondo luogo, e decisivamente, tale interpretazione consente di preservare la validità della clausola statutaria in esame, in omaggio al principio di conservazione degli atti giuridici. Al riguardo si rammenta che l’art. 1367 c.c. (rubricato Conservazione del contratto) prevede che: “Nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno”: ciò comporta la necessità di interpretare espressioni negoziali ambigue nel senso che non comporti nullità e, conseguentemente, inefficacia delle stesse.

Diversamente opinando, infatti, la previsione statutaria incorrerebbe effettivamente, come denunciato dalla società attrice, in un vizio di nullità, per estensione, al di là della ipotesi di cui all’art. 2466, quarto comma, c.c. della limitazione del diritto di voto, che costituisce il fulcro della partecipazione alla compagine sociale. La citata norma, dunque, certamente imperativa, deve considerarsi anche tassativa, nel senso di inibire alla compagine sociale di prevedere ulteriori casi, diversi dalla mora nei conferimenti, di limitazione del diritto di voto (in tal senso, si v. il condivisibile orientamento del Comitato Interregionale dei Consigli Notarili delle Tre Venezie, decisione I.B.7, pubbl. 9/04, citata nell’atto introduttivo del presente giudizio).  

Priva di pregio appare al riguardo la deduzione della società convenuta, secondo cui la nullità non potrebbe essere fatta valere da un socio fondatore (quale                            s.r.l.) che ha partecipato alla stesura dello statuto e dunque ha evidentemente accettato anche tale clausola. Ad accogliere una siffatta tesi – che contrasta peraltro con la disciplina delle nullità sancita dal codice civile – verrebbe meno in radice la possibilità di rilevare nullità negoziali, trattandosi in ogni caso di pattuizioni predisposte o quantomeno accettate dalle parti contraenti.  

3 – Alla luce dell’accoglimento di tale motivo di impugnazione, rimangono assorbiti gli ulteriori motivi di doglianza nei confronti delle delibere adottate dall’assemblea dei soci della                     s.r.l. in data 11.12.2015, proposti dalla        S.r.l. con l’atto introduttivo del presente giudizio. È appena il caso di osservare, peraltro, che l’accertamento della illegittimità dell’esclusione della società attrice dalle votazioni svolte in sede assembleare riverbera conseguenze anche quanto al mancato rispetto dei quorum costitutivo e deliberativo: ed infatti tutte le difese della società convenuta, volte a dedurre il rispetto dei citati quorum, si basavano sul presupposto, ora venuto meno, della morosità della                     (e della                       s.r.l.) ai sensi dell’art. 10.2 dello statuto.

In conclusione, sulla base di tutte le suesposte considerazioni ed in accoglimento della domanda attorea, deve essere dichiarata, ai sensi dell’art. 2479-ter c.c., l’invalidità delle delibere adottate dall’assemblea dei soci della                       s.r.l., in data 11.12.2015.  

Le spese di lite seguono la soccombenza e vengono liquidate, ex D.M. n. 55/2014, come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale di Roma, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, così provvede:

  1. DICHIARA l’invalidità delle delibere adottate dall’assemblea dei soci della                     s.r.l. in data 11.12.2015;
  • CONDANNA la                               s.r.l. alla rifusione, in favore di                 s.r.l., delle spese del giudizio, che liquida in, oltre ad accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26.3.2019.

                              Il Giudice estensore                                            Il Presidente

                         Dott.ssa Cecilia Bernardo                                Dr. Giuseppe Di Salvo

Provvedimento redatto con la collaborazione del MOT dr. Andrea Turturro.

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